Segue la seconda parte dell’intervento del Dottor Achille Ferrari, psicologo e psicoterapeuta, dopo la prima parte pubblicata la scorsa settimana che trovate qui.
Le variabili cruciali in una relazione genitoriale funzionale in una coppia separata possono essere ricondotte a due: l’accessibilità alla relazione e la qualità dell’esercizio delle funzioni genitoriali. Nella maggior parte dei divorzi i figli pur essendo affidati ad entrambi i genitori risiedono presso la madre. Il problema diventa perciò, spesso, come i figli possano accedere alla casa del padre, come questa possa essere sentita propria da parte del figlio. Il padre solitamente dopo la separazione, in una coppia genitoriale collaborativa e non conflittuale, costruisce un legame importante ed originale con il figlio, quello che prima, nella vita coniugale, non aveva. Non a caso un gran numero di padri sostiene che la relazione con i figli è migliorata dopo il divorzio.
Il problema si manifesta quando i figli vedono poco i padri, quando il conflitto genitoriale è talmente alto, che la visita del figlio presso il padre diventa un atto “drammatico”: “Desidero veder il padre, ma avvicinarmi a mio padre è creare dolore a mia madre. Il momento di separarsi dalla madre e il suo riabbracciarla, dopo essere stato dal padre diventa un momento di dolore profondo fatto di colpa e di paura, paura della perdita della madre, colpa per aver abbandonato la madre. Quando parlo di “drammatico” faccio riferimento al Triangolo drammatico teorizzato dallo psicologo Giovanni Liotti: “Immaginiamo tre “ruoli” diversi tra loro, il “salvatore” il “persecutore” e la “vittima”. I protagonisti, ovvero il bambino e la sua figura di attaccamento, possono oscillare in ognuno di questi tre ruoli, anche all’interno dello stesso “evento”. Pensiamo a quanto “drammatico” e destabilizzante possa essere tutto ciò: un bambino che sente se stesso come salvatore, ma anche vittima, ma anche persecutore, di una figura di attaccamento che viene percepita a volte come salvatore, al tempo stesso come vittima e peggio ancora come persecutore.
Pensiamo allora al rapporto con la madre: io bambino sono quello che salva e fa felice la madre, ma sono anche quello che da dolore alla madre, e viceversa mia madre è la persona che mi accudisce e mi protegge, ma è la persona che mi crea e mi dà dolore e mi mette in pericolo perché posso essere rifiutato. Quindi quando mi allontano dalla madre creo dolore nella madre, quando mi avvicino alla mamma, sarò felice di rivederla, ma avrò paura di essere rifiutato perché l’ho tradita con mio padre. Questa drammaticità chiaramente non è pensata, non può essere pensata da una bambino, ma è agita. Questo comporta in bambini di pochi anni, regressioni comportamentali ed emotive molto evidenti alle quali i genitori molte volte non sanno dare una spiegazione plausibile se non colpevolizzando l’altro genitore, oppure pensando in modo superficiale che sono stupidaggine o peggio bugie raccontate dalla madre per impedire che il figlio vada dal padre. Infatti molte volte il bambino si rifiuta di andare dal papà.
Se poi si aggiunge che l’essere dal padre diventa a tratti una situazione inquisitoria in cui il padre vuol sapere che cosa fa la madre, come si comporta, se ha un nuovo compagno, allora per il figlio diventa una percorso doloroso che vorrà evitare con tutte le sue forze. Non solo, molte volte capita in queste situazioni che entrambi i genitori arrabbiatissimi, urlino il proprio dolore per la situazione del figlio colpevolizzando il partner della situazione stessa e quindi aumentando il conflitto stesso che si ripercuote nel figlio il quale aumenterà i propri comportamenti problematici che avranno una loro rappresentazione dal padre ed una totalmente differente dalla madre. Questi circoli viziosi in realtà distraggono l’attenzione dal figlio, e portano tutta la concentrazione sull’altro elemento della coppia, il quale è visto come causa non solo del proprio fallimento come coppia, ma anche come pericolo grave per il figlio stesso. In quel momento il bambino, così amato, perde la centralità, diventa strumento inconsapevole per sconfiggere l’altro, l’altra. Purtroppo quando le coppie genitoriali separate entrano in questi percorsi con difficoltà e oserei dire raramente riescono ad uscirne. Immaginiamo allora come cresce il bambino, che si vede camminare in un terreno minato senza mai uscirne.
Sembra quasi, quando i genitori entrano in queste guerre reciproche, che distorcano la rappresentazione della realtà al punto da attribuire significati del tutto irrealistici ai comportamenti dei propri figli, ma utili alibi alla propria rappresentazione del mondo. Abbiamo dato alcuni esempi e ricordato le conseguenze della non accessibilità o della difficoltà di accessibilità all’altro genitore.
Occorre ricordare anche che l’accesso alla relazione con il genitore non convivente da parte del figlio è anche una garanzia di accesso ad entrambe le storie familiari. Sempre il professor Cigoli racconta: “Sappiamo che l’accesso alle origini è un tema cruciale dello sviluppo mentale e che impedire o vietare tale accesso è fonte di grave limitazione. La maggior parte dei figli desidera mantenere i contatti con entrambi i genitori ed essi sono più soddisfatti se hanno contatti continuativi, salvo, (come abbiamo raccontato più sopra) se la relazione con il genitore non affidatario è estremamente disfunzionale”. A tal proposito meriterebbe una particolare attenzione alla cosiddetta sindrome di Alienazione parentale, più frequente di quanto si possa credere: i figli provano rifiuto ed ostilità nei confronti del genitore uscito da casa, quando fino a che era all’interno delle mura domestiche il rapporto era sereno anzi funzionale e buono. Il fenomeno viene riferito ad un grave problema comunicativo che il genitore separato e la sua famiglia di origine mettono in atto nei confronti dell’altro genitore.
Se sopra ho parlato di conflitti che si traducono in una comunicazione disfunzionale, in questo il genitore alienante assieme alla famiglia di origine mette in atto una modalità comunicativa coercitiva condizionante che provoca nel figlio il terrore di essere rifiutato, abbandonato, che lo obbliga a rifiutare l’altro genitore per la paura di perderli entrambi. Tale sindrome è stata causa di polemiche, e spesso i Tribunali non l’hanno riconosciuta. Attualmente è entrata nel DSM 5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) nell’ambito dei “Problemi correlati all’allevamento dei figli”. Ricordiamo che tale sindrome può provocare nel figlio una suggestione così profonda da annullare la rappresentazione che il figlio ha di se stesso e del rapporto con i propri genitori, assumendo completamente la visione del mondo del genitore alienante, al punto da usare lo stesso linguaggio. Tali situazioni sono fra le più gravi, e possono provocare situazioni di forte rabbia, aggressività anche con vere e proprie azioni, e ansia. Tale quadro chiaramente non aiuta la maturazione non solo emotiva, ma anche cognitiva.
Insomma, alla fine, se i genitori mirano a gestire il conflitto di coppia, comprendendo che gestire quel conflitto permetterà alla coppia genitoriale di funzionare e anche bene, allora il figlio potrà continuare la propria crescita serena. Vogliamo ricordare per ultima cosa che nelle famiglie con un solo genitore si rileva una frequente oscillazione tra l’eccessiva fusionalità genitore-figlio e la precoce emancipazione dello stesso. Problemi fin qui accennati meriterebbero ulteriori approfondimenti, non ultimo sarebbe interessante approfondire gli stili di attaccamento dei figli ai genitori e gli stili genitoriali, perché molto dipende anche da queste variabili fondamentali il tipo di crescita psicologica del figlio.
Quello che ritengo fondamentale è sottolineare come una buona separazione, o per meglio dire un buon percorso separativo porta a salvare la coppia genitoriale e quindi a salvare il figlio dandogli la possibilità di crescere all’interno di una famiglia serena, anche se sarà una famiglia allargata fino a diventare come dice Cigoli “Tribù”.
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